[avatar user=”Cettina Pellitteri” align=”left” /]
Lo scorso venerdì sulla Gazzetta dello Sport un interessantissimo focus sul Cittadella, dal titolo “Piccolo è bello, così la realtà meno grande della B può realizzare un’impresa” ha inevitabilmente indotto i lettori del Sud ed in particolare i tifosi del Palermo, a riflettere ed a chiedersi, ancora una volta, come è possibile che in Italia il calcio che conta si ferma a Napoli e che squadre che sono espressione di piccole cittadine di provincia riescono invece a realizzare progetti seri e duraturi nel tempo.
Inevitabile dunque, ripensare alla parabola discendente del Palermo calcio, con ricordi agro-dolci ed amari rimpianti. L’arrivo di Zamparini nel 2002 fu salutato dalla Piazza palermitana con un entusiasmo travolgente: finalmente a Palermo era arrivato qualcuno capace di dare forma ai sogni più ambiziosi dei tifosi, anche se con senno del poi, ci si è resi conto che un vero progetto tecnico duraturo nel tempo non c’è mai stato.
In questi anni la squadra è sempre stata un porto di mare, una sorta di tela di Penelope dove ogni anno si disfaceva quasi tutto e si ricominciava sempre daccapo. I numeri d’altronde non mentono mai, se mettiamo a confronto quelli di Palermo e Cittadella, il quadro che viene fuori è davvero impietoso: Dodici allenatori, 2 esoneri e 10 anni di permanenza record di Foscarini nei 45 anni di storia del club veneto, 36 cambi tecnici, 11 Direttori Sportivi e 3 Presidenti nei 16 anni di gestione zampariniana a Palermo.
Eppure le premesse e le promesse per far diventare il club rosanero la squadra leader del Sud c’erano tutte, basti pensare all’ondata di entusiasmo che travolse la città dopo la storica promozione del 2004 e i 32.847 abbonamenti sottoscritti nella stagione 2004/2005, la prima in Serie A dopo ben 32 anni.
I grandi traguardi storici raggiunti dal Palermo, come la prima qualificazione in Coppa Uefa e le vittorie esaltanti in casa del West Ham e del Frankfurt Eintracht hanno inorgoglito i nostri tifosi emigrati in Europa, per non parlare poi dell’orgoglio tutto “terrone” di andare a vincere in casa della Juventus o del Milan. Furono anni in cui tutto sembrava possibile e nessuno potrà mai negare quello che Zamparini ha dato a questa città.
Ma proprio nel momento in cui si doveva fare il definitivo salto di qualità, tutto è precipitato ed il Palermo ha imboccato la strada della discesa. Forse sarebbe stato meglio parlare chiaramente alla gente, spiegare i motivi per i quali non si poteva più mantenere la squadra a quei livelli e probabilmente i tifosi avrebbero capito.
I palermitani sanno avere un cuore grande, nessuno pretende più di quello che un presidente può dare, negli anni più poveri della storia rosanero, gli anni della C e della B, la gente affollava la Favorita; oggi il Barbera vuoto è un pugno nello stomaco. Non c’è più quella bolgia che faceva tremare le ginocchia agli avversari, non c’è più il dodicesimo uomo in campo. Si è distrutto un patrimonio di entusiasmo e le nuove generazioni sono tornate a tifare per Milan, Inter, Juventus.
Se si guarda al bugdet del Cittadella, al suo monte ingaggi di 2,6 milioni – tre con i premi – ed agli stipendi sotto gli 80mila euro netti, la malinconia aumenta, perché si comprende che l’involuzione del Palermo è dovuta sia a difficoltà economiche, sia al suo navigare a vista, frutto di una mancata programmazione tecnico-gestionale.
La girandola di notizie che dal 2010 raccontano di improbabili cessioni societarie hanno innalzato un muro di sfiducia e diffidenza, le ultime vicende di Baccaglini e di Follieri hanno contribuito ad allontanare ulteriormente i tifosi dallo stadio.
Neanche l’attuale trend positivo della squadra sembra scuotere la gente: la paura di rimanere delusi è più forte della voglia di tornare. Il fuoco della passione resta acceso sotto la cenere, nell’attesa di tornare ad essere protagonisti, a quel sentirsi palermitani ed orgogliosi di esserlo!
.
Altre news
Palermo, non è sempre colpa della sfortuna
Il caffè del lunedì: Rosa o nero?
Con poche vittorie in casa niente promozione, lo dice la storia