In questi giorni di quarantena più o meno forzata, stiamo tutti cercando qualcosa per far scorrer il tempo. La tecnologia ci viene in aiuto così come l’arte culinaria. Ma è impossibile cucinare stare davanti ad un pc per tutto il giorno ed allora c’è bisogno di qualcos’altro: anche di una buona lettura. Il potere delle parole è immenso.
Smanettando su alcuni siti di informazione, veniamo a conoscenza di questa storia bellissima, semplice, rapida ma essenziale e toccante. La troviamo su Repubblica e l’autore è Maurizio Crosetti.
Non si sa (ed è giusto così) se sia una storia vera oppure una storia…pensata da Crosetti. E quindi anche questa una storia vera.
Del resto le fiabe a cosa servono se non a esorcizzare il male? Come quel bambino siamo tutti in attesa del lieto fine, si legge fra i commenti all’articolo. Ecco, ha ragione il lettore; le fiabe servono a creare un mondo di sogni, di speranze. Che sia realmente accaduta o frutto della penna delicata di Crosetti, non ha alcuna importanza.
Vogliamo riportarvi l’articolo per intero, senza tagliare o limare nulla, perderebbe il suo fascino.
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Coronavirus, quelle parole di un papà al suo bimbo spaventato.
Nel silenzio in strada di questi giorni, al di là delle sottili pareti di casa un padre racconta una fiaba a suo figlio per spiegargli l’emergenza
DI MAURIZIO CROSETTI
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Due voci dietro la parete: sono sottili i muri delle nostre case. La voce di un padre, la voce di un bambino che non parla tanto ma più spesso ride. Succede da tre giorni ormai. La prima volta era di sera. Ora però quella voce non smette, ed è una voce che racconta. Nel mattino, per esempio: ieri era pieno di silenzio in strada, la città appena sveglia, soltanto le gocce di pioggia sul vetro della finestra e qualche sirena. La voce racconta una storia.
Sono rimasto in ascolto ma con cautela, come per timore di disturbare quella meravigliosa intimità, quel segreto. Ma poi ho ceduto. Tutti abbiamo bisogno che le parole si prendano cura di noi, adesso più di sempre. Il papà dice: c’è la notte nera nel mondo, e un bambino indossa un’armatura d’argento, è di cartone ma che importa, il bambino è invincibile, non ha paura di niente.
Io ascolto ma non riconosco in quelle frasi nessuna favola, nessuna storia perduta negli anni lontani, quando ero io il bambino in attesa e mio padre mi leggeva “Il pesciolino d’oro”. Questa è un’altra cosa. Il papà continua: c’è dunque un piccolo guerriero che si lava molto bene le mani e poi si mette l’elmo col pennacchio rosso, e sull’elmo una mascherina.
Comincio a capire. Sto zitto come quel bambino dall’altra parte del muro, nell’altro lato del mondo. Il papà s’è inventato la fiaba di questi giorni guerrieri e sta mandando via la paura di suo figlio, prova a proteggerlo così. Dice: il piccolo cavaliere ha una spada di diamante e la muove nell’aria, i riflessi di quella lama mandano lampi nella notte che adesso non è più così buia. Il bambino ride un poco e domanda: come si chiama il piccolo cavaliere? Indovina, risponde il padre. Si chiama come me! Sono io!, dice il bambino.
E la storia continua, ci sono mostriciattoli con la coda gialla e lunghi baffi da gatto, e gentili animali parlanti, e pianure e colline e infine il mare che brilla lontano, laggiù. Il bambino non ha paura di niente. Poi il padre tace, forse il bambino si è addormentato. E adesso sto aspettando che venga sera. Vado in camera troppe volte, più del necessario. Cerco scuse. Cerco parole per me. Invidio quel bambino e amo quel padre, ma se lo incontro per strada non gli dirò nulla: non voglio rompere l’incantesimo. Aspetto la mia storia, così anch’io dormirò più quieto. So che quel piccolo guerriero salverà tutti noi, è così che andrà a finire. Mi siedo, chiudo gli occhi e aspetto che il muro mi parli.
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