È bastata qualche crepa societaria tra Mirri e Di Piazza per far riemergere nuovamente tutte le contraddizioni che distinguono il panorama palermitano in tempi di crisi. Non eravamo più abituati a questo spettacolo.
I dissidi che stanno attraversando la Società rosanero in questi primi giorni di giugno con ogni probabilità accadono in quasi tutte le aziende in cui vi è un socio di maggioranza ed un socio di minoranza. Quando quest’ultimo non riesce ad incidere come vorrebbe, iniziano a mostrarsi le prime crepe nei riguardi del socio di maggioranza.
Da questo genere di diatribe solitamente se ne esce con una dialettica imprenditoriale che serve a stemperare le tensioni per far sì che tutto torni alla normalità. Ci sono contesti, però, in cui tale dialettica o non può essere applicata o viene fortemente ostacolata da fattori oggettivi.
È il caso di Palermo. Il capoluogo siciliano è storicamente l’obiettivo di chiunque cerchi di affermare la propria voce all’interno del mercato peninsulare, o più in generale mediterraneo. Accadde nel dissidio storico tra romani e cartaginesi, accadde nella guerra del Vespro tra angioni e aragonesi, e così molte altre volte nella storia Palermo è stata oggetto di contesa tra numerosi avversari che volevano poggiare le proprie fauci su una città ricca di cultura, centrale geograficamente, e con un enorme potenziale economico.
Ancora oggi Palermo dimostra di essere cibo gourmet per gli avvoltoi. Tali avvoltoi vengono fuori ogni volta che sulla città tutto porto sorge qualche dissidio interno, qualche piccola scossa di magnitudo che anche lontanamente possa lasciar pensare ad un’opportunità da non perdere. Così, una volta che la dialettica imprenditoriale tra Mirri e Di Piazza è divenuta di dominio pubblico, in numerosi sono stati ad immergersi nel dibattito palermitano, cercando ognuno di trarne vantaggio contro questo o contro quell’avversario.
Gli avvoltoi sono sempre lì, pronti a gettarsi nella mischia appena qualcosa inizia anche lontanamente ad incrinarsi nell’assetto societario. Dicono di amare Palermo ed i palermitani, dicono di aver piani milionari per la squadra palermitana. Però nei fatti non dimostrano né l’una né l’altra cosa. Eppure c’è chi è pronto a credere in loro, nelle loro parole e nei loro progetti, malgrado già in passato si siano vissute vicissitudini che hanno degradato la passione per il Palermo ad un affare di cui non c’era ragione di essere preoccupati.
Palermo è dei palermitani. Ma attenzione, non si intenda per “palermitani” un fatto biografico, bensì un fatto passionale: Palermo è dei palermitani, ovvero di tutti coloro che hanno fatto e continueranno a fare il bene di Palermo, coloro che sono pronti a mettere realmente la faccia per i colori rosa-nero, coloro che mostrano serietà, passione, appartenenza. Perché, è giusto ricordarlo, il Palermo non è un giocattolo.
Numerosi avvoltoi che si fingono eroi, pieni di competenza e ricchi di capacità come mai vista finora, secondo quanto loro stessi si attribuiscono. Se la critica da parte dei tifosi è legittima, perché non vi è passione senza discussione, meno legittima è, invece, l’intervento da parte di personaggi che non hanno mai voluto il bene del Palermo, e che anzi a più riprese hanno tentato di esserne gli avvoltoi, per un cibo gourmet così squisito.
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