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Poveri, ma ricchi

Fin da quando è nato il nuovo Palermo, la gioia della piazza per una proprietà a maggioranza palermitana è stata accompagnata dallo scetticismo di chi non vedeva nell’accoppiata Mirri-Di Piazza una società solida dal punto di vista economico.

Sono state numerose nel corso dei mesi le lamentele dei tifosi in merito a presunti risparmi eccessivi nella gestione della squadra, creando talvolta delle polemiche sterili -come quella del pullman per le trasferte- facendo sorgere attorno alla proprietà la nomea di essere “senza soldi”.

La realtà dei fatti ha più volte smentito questa cattiva reputazione, che stranamente non aveva accompagnato i loschi individui che si erano avvicinati al Palermo e ai palermitani, nel tentativo di ammaliarli con passerelle tipiche della migliore commedia teatrale. A quasi nessuno, infatti, era sorto il dubbio che chi parlava tanto di Palermo, senza poi far nulla di concreto per la città, potesse essere soltanto qualcuno in cerca di visibilità gratuita.

Ma si sa, la suggestione è più forte dei fatti. Così accade che la suggestione finisca per coinvolgere persino chi ha sempre preferito attenersi ai fatti e non alle speculazioni di chi rende il proprio scetticismo un fatto indiscutibile. La suggestione di essere “poveri” ha coinvolto persino chi scrive, quando ieri nel corso dell’intervista fatta a Sagramola a “Diretta Stadio Giovedì”, l’Amministratore Delegato palermitano ha messo a confronto i fatturati del suo precedente Palermo nel 2011, e quello odierno.

Stando alle parole del dirigente ex Brescia, il Palermo dieci anni fa fatturava circa sessanta milioni di euro, contro gli attuali tre milioni e mezzo di fatturato. E allora è proprio vero: siamo poveri.

Oggi il Palermo è povero relativamente a quel fatturato, relativamente alla categoria di dieci anni fa, e relativamente al potenziale economico della precedente proprietà. E’ un dato di fatto che davanti a certi numeri è impossibile negare. Il dubbio, però, sorge nel momento in cui la “ricchezza” che ci contraddistingueva un decennio fa ha portato al fallimento della squadra grazie ad una gestione tecnica e dirigenziale totalmente scellerata e priva di una prospettiva futura che non fosse la semplice plusvalenza di giocatori semi-sconosciuti.

Ci si chiede, dunque, quanto sia utile avere un fatturato da sessanta milioni, se quel fatturato è mal gestito da una proprietà incapace di far sopravvivere una squadra con quel potenziale tecnico ed economico. Secondo il famoso autore latino Seneca “è segno di debolezza non riuscire a sopportare la ricchezza”; ed è stato infatti un grandissimo segno di debolezza da parte di quel Palermo non riuscire a sopportare e a gestire quella potenziale ricchezza che è andata dissolta nel giro di pochi anni.

Oggi potremmo definirci poveri rispetto ad allora, ma ciononostante ricchi: come abbiamo visto, infatti, non sono i fatturati da decine di milioni di euro a rendere unicamente ricca una squadra di calcio, bensì una prospettiva ben precisa sotto l’aspetto tecnico, la forte determinazione di inseguire un obiettivo e raggiungerlo, e il senso di appartenenza ad una causa che non viene vissuta da lontano ma in prima persona. Abbiamo perso in termini di valore assoluto un po’ di ricchezza economica, ma abbiamo acquisito una ricchezza che non è possibile definire tramite una cifra, perché tale ricchezza coinvolge l’animo di ogni palermitano che si sente parte di una storia che ha ricominciato a spiccare il volo.

La società ha dimostrato nella concretezza di avere i giusti mezzi economici per affrontare gli impegni presi con la città ed i tifosi, e soltanto la realtà dei fatti ci dirà se continuerà a farlo. Con la consapevolezza di essere poveri, ma ricchi, è importante continuare a sostenere un progetto che mette Palermo ed i palermitani al centro di esso, e non li considera soltanto un elemento collaterale o decorativo, come invece accaduto in passato.

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