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19 luglio 1992. Paolo Borsellino, il suo amore per Palermo e la lotta alla mafia

Di Anna Follari

A distanza di 28 anni dalla strage di via D’Amelio, il popolo palermitano non intende demordere la lunga lotta contro la mafia che è costata tanto all’intero paese. Paolo, da sempre molto centrato negli studi, era uno studente parecchio attivo con diversi ruoli importanti, tanto da prendere parte ai gruppi legati alla destra (Fronte Universitario di Azione Nazionale, MSI).
Nell’86 sposa Agnese Piraino Leto con cui ha avuto tre figli: Lucia, Manfredi e Fiammetta.
Dal 23 maggio, data della strage di Giovanni, l’umore e l’amorevolezza di Paolo iniziano a venir meno; si rende conto che da lì a poco sarebbe stato il prossimo bersaglio di Cosanostra. Così, inizia ad allontanarsi dalla famiglia, impaurito dal domani, ad essere severo, scostante e freddo, ricorda il figlio Manfredi. Probabilmente si era sentito abbandonato dallo Stato di fronte a questo nemico, che ha sempre agito nel silenzio e nella crudeltà assoluta.
Dopo l’omicidio del collega e grande amico, il giudice incrementó il suo impegno contro la mafia, pur sapendo di essere in pericolo giorno per giorno.
Purtroppo per lui, per noi, per tutti, la mafia sferrò l’ennesimo attacco e riuscì ad uccidere anche il 52enne magistrato.
Così, verso le 16:58 di quel terribile giorno, il tritolo devastó via D’Amelio. Insieme a lui, saltarono in aria 5 agenti di scorta tra cui la giovanissima Emanuela Loi.
Quel giorno Paolo si stava recando a casa della madre e nell’innocenza più totale, la mafia colpì senza pudore, imbottendo di esplosivo un’auto che per la violenza ruppe perfino le finestre del condominio di fronte.
Il magistrato inizió la sua carriera nel 1963; nell’80 fu trasferito a Palermo ed inizió ad occuparsi di indagini lasciate incomplete dal commissario Boris Giuliano che era stato ucciso pochi anni prima.
Dalla forte amicizia con Rocco Chinnici, Antonio Caponnetto e Giovanni Falcone nasce il famoso Pool Antimafia. Grazie a questa equipe, finirono sotto inchiesta 476 esponenti della mafia e questo, chiaramente, mise i giudici in una posizione molto delicata.
Così i due giudici furono trasferiti all’Asinara per tenerli il più possibile al riparo da eventuali stragi. Nel 1987 il Pool fu smantellato per problemi di salute di uno di loro e da allora la vita di Borsellino e pochi altri diventò ancor più a rischio.
Tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta, i giudici si sentivano lasciati soli percependo intorno a loro il silenzio delle istituzioni.
Oggi il fenomeno mafioso sembra essere meno presente, in realtà ha posto le sue radici ancor più a fondo rispetto a quegli anni. È bene sensibilizzare le nuove generazioni su questo argomento per non lasciare nel dimenticatoio uomini che hanno dato la propria vita per la società e la nazione. Con la speranza che la criminalità organizzata possa piano piano essere sconfitta in modo da portare avanti il duro lavoro iniziato dai 4 giudici che è costato tanto alla nazione italiana intera.

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