Allo stadio “Barbera” le finali regionali del torneo Refugees Teams.
“In Somalia giocavo per strada ma la gioia di oggi non cancella la guerra che ho lasciato a casa mia”.
Mohamed e Farhan, sono fuggiti insieme dalla Libia ma sono arrivati in Sicilia in due
momenti diversi. Il pallone ieri li ha fatti ritrovare.
Hanno attraversato il deserto e il mare in cerca di una speranza. Ora invece rischiano l’espulsione, senza un permesso di soggiorno che sia di lavoro o studio.
Questo il titolo di Repubblica, oggi in edicola.
L’articolo di Valerio Tripi sottolinea la grande ed immensa forza di chi ha stretto una cima per non annegare. Piedi che hanno camminato senza cibo né acqua. Oggi quegli stessi piedi e mani, indossano guanti da portiere e casacche e hanno corso sul prato del “Barbera”, inseguendo un sogno.
Il torneo è quello del Refugees Teams, la manifestazione organizzata dal Settore
giovanile e scolastico della Figc, in collaborazione con il Palermo, l’Uefa, il Ministero
dell’Interno e i centri Sai – Siproimi (acronimo che sta per sistema accoglienza e integrazione- Sistema di protezione internazionale minori).
Dietro questo ci sono storie di sofferenze indicibili, cicatrici evidenti e altre più profonde difficili da guarire. Ma oggi c’è anche la speranza, forse oggi più flebile rispetto al passato, di avere un futuro migliore.
«Sono in Italia da un anno e cinque mesi – racconta Mohamed – sono arrivato dalla Somalia e spero di riuscire ad aiutare i miei che sono rimasti a casa. I nostri avversari sono più forti di noi, potremmo giocare a cricket visto che nel nostro centro ci sono tanti ragazzi del Bangladesh, ma giocare a calcio ci aiuta a stare insieme non solo fra di noi, ma anche con i ragazzi delle altre squadre».
E’ grazie al calcio che Mohamed ha ritrovato Farhan, il suo connazionale che aveva conosciuto in Libia:
“Non abbiamo fatto lo stesso viaggio – racconta Mohamed – lui è arrivato in Sicilia cinque giorni prima di me, ognuno ha viaggiato per conto proprio, ma siamo arrivati tutti e due in Italia. Dopo la Libia ci siamo persi di vista e ci siamo ritrovati qui allo stadio. È stata una bella sorpresa per tutti e due“.
“Sono felice – dice di rimando Farhan Hassan Hamed – in Somalia giocavo
per strada, ma la gioia di oggi non cancella la vita difficile che ho lasciato a casa. per strada, ma la gioia di oggi non cancella la vita difficile che ho lasciato a casa. C’è la guerra, ci sono tanti problemi, la vita è difficilissima e non c’è spazio per il pallone.
Farhan sogna ma anche i piedi per terra: “Vorrei diventare un grande calciatore, come Ibrahimovic, se solo riuscissi ad avere l’occasione giusta. Oggi c’è il rischio di essere espulsi, sono in attesa del colloquio con la commissione (territoriale per il diritto di asilo, ndr) e se non trovo lavoro potrei essere rimpatriato“.
Una speranza che è appesa ad un filo sottile e un viaggio lunghissimo che potrebbe non esser bastato:
“Sono stato quindici giorni nel deserto libico – racconta – alcuni giorni interi senza bere né mangiare. Eravamo tantissimi. Il mio gruppo è stato diviso in due barchini piccoli, quelli con l’aria sui bordi (gommoni, ndr): in uno eravamo quarantacinque, nell’altro cinquantacinque. Dopo siamo stati recuperati da una nave grande che si chiama Alan Kurdi e ci hanno fatto sbarcare a Messina”.
Alla fine , mentre il pallone rotola a far festa é il centro Marsala Ciancio che si qualifica per la fase nazionale battendo in finale il centro di accoglienza di Sciacca, grazie ai gol del guineano Bakary. L’esultanza è irrefrenabile e trascina tutti con il suo balletto.
Ecco le parole del presidente Mirri al momento della premiazione:
“Nella vita avete sofferto pene che chi è nato a Palermo non ha vissuto,avete il sogno di diventare calciatori e sappiate che c’è un ragazzo come voi che ha realizzato il suo: gioca con il Palermo e si chiama Bubacarr Marong. Abbiate dei sogni e restate uniti: se si sogna da soli quello resta solo un sogno, se si sogna insieme è la realtà che inizia a realizzar.
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